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      La testa della Gentili (noi abbiam visto il suo ritratto miniato dal Romanin) era di quelle che disarmano anche la critica; aveva capelli neri lievemente crespi, pettinati come portava la più semplice delle mode d'allora, e press'a poco come li ha la Tersicore o l'Ebe di Canova; bianchissima avea la pelle, di quelle che non hanno color fisso, ed ora impallidiscono, come il chiaro di luna, ora s'invermigliano come il carmino; agli occhi neri e vellutati, dove di tanto in tanto pareva scorresse una lieve scintilla quasi a scuotere un languore abituale, che poteva essere desiderio e poteva essere noncuranza, sovrastavano due sopraccigli neri e folti oltre le leggi della bellezza accademica, ma per ciò stesso produttori di quel fascino che deriva dal contrasto: sopraccigli neri e folti, e di quelli che fan fare dei computi indiscreti. Su quel caro viso era soffusa una tinta di bonarietà che, nel momento del massimo languore, potea parer persino melensa, ma che in certi istanti scompariva di tratto, e dava luogo a una vivacità, che parea perfin maliziosa.
      La Gentili, insomma, era di quelle beltà che non vanno soggette a scrutinio, ma ottengono la maggioranza assoluta di voti e vengono prescelte per acclamazione; di quelle, inoltre, che, se lo abbiam già detto, lo ripetiamo, piacciono anche alle donne. Alla viceregina, poi, che aveva diciannove anni appena, ed era bella anch'essa, e non poteva sentire invidia, quella fanciulla aveva fermato l'attenzione in un modo particolarissimo, onde le carezze che le aveva prodigate e la prima volta e questa erano affatto naturali e cordialissime.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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