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      Io ne andavo pazzo, e solo mi doleva di non potermi confondere tra quella folla ad essere uno della schiera dei ragazzi, che guardavo con occhio d'ammirazione nell'atto di trascinare e di scuotere due grosse catene di ferro.
      Ma ben diversamente la pensava mio zio, essendo amico intimo dell'infelice soggetto di questa serenata. Egli disapprovava questo modo di procedere, chiamandolo una vergogna, e dette ordine rigoroso che il giorno dopo (la serenata doveva ripetersi per tre giorni di fila) tutte le finestre fossero tappate e che nessuno si movesse di casa. Venne di fatti il giorno dopo, e la serenata fu ripetuta. Io soffrivo le pene di Tantalo; pure resistetti. Ma il terzo ed ultimo giorno la tentazione fu così forte, che cedetti. Poco innanzi l'ora di cena potei scapolarmela senza esser veduto, e a forza di gomitate mi apersi una strada attraverso la folla sino alla schiera di ragazzi, tanto da me invidiati le due sere innanzi. Mi fu offerto il capo d'una catena, ed io mi posi all'opera con amore. Ma nel più bello, ecco che la Margherita mi fu sopra, e agguantandomi per il bavero del vestito, mi trascinò a casa.
      Mio zio se ne stava seduto a tavola in atto maestoso e col tovagliolo attorno al collo: "Che il figlio di suo padre - mi disse - e il nipote di suo zio dovesse disonorarsi al punto di partecipare a tale infamia e mescolarsi con quella marmaglia, era molto più di quello che poteva aspettarsi, e meritava una solenne lezione". Fui su due piedi condannato al carcere duro, cioè ad esser rinchiuso in una bassa stanzetta, attigua al salotto da pranzo, e che serviva a uso di dispensa.


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





Tantalo Margherita