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      A tavola, nella sala da studio, in chiesa, nel piazzale, da per tutto insomma, l'inevitabile prefetto era presente. Durante la notte, dal suo letto in fondo alla camerata, vigilava tutto quanto il dormitorio, perché fosse mantenuto l'ordine ed osservato il silenzio.
      Debbo aggiungere, per coscienza, che i noiosi e servili doveri del prefetto erano così mal retribuiti, che non si trovava alcuno che volesse accettare quell'ufficio, eccetto qualche prete affamato e scagnozzo. Generalmente parlando, quei prefetti erano tangheri senza coltura e istruzione, e pur troppo giustificavano quello che noi scolari dicevamo, che per loro la tonsura era una specie di bolletta d'esenzione dalla vanga e dalla leva militare.
      In questo collegio stetti per cinque lunghi anni, dei quali tolga Iddio che io intenda di fare una minuta narrazione. I due primi possono essere riepilogati così: molta miseria di mente e di corpo, geloni, busse, una faccia antipatica e deforme che pretendeva l'impossibile, che spesso s'aggrottava e brontolava con mio grande spavento, ed un amabile volto che mi sorrideva ogni giovedì, giorno delle visite, e mi confortava con parole piene di tenerezza e d'amore.
      Con eguale facilità e prestezza posso descrivere i due anni seguenti, dicendo che le cose andavano a mano a mano migliorando, che i lavori di scuola mi riuscirono a poco a poco meno impossibili, poi discretamente facili, ed infine facilissimi, che trovai un amico, e che io divenni col tempo un personaggio di qualche importanza nella nostra piccola comunità.


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





Iddio