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      Anastasio, solo nella nostra classe, e credo anche di tutto il Collegio, parteggiava pei Turchi, e i Greci li chiamava ribelli.
      Due ragazzoni molto alti, nerboruti e stupidi, veri ercoli della camerata, erano i suoi pretoriani, gli esattori spietati dei suoi balzelli, buona parte dei quali andava a beneficio loro. Essi si mantenevano subordinati al loro capo, percotendo con pugni, e, peggio ancora, staffilando senza pietà chiunque facesse il più piccolo atto di resistenza.
      Benché questi due rappresentanti della forza brutale sostenessero molto bene la tirannide d'Anastasio, non ne erano però né il solo, né il più fermo puntello. Egli si appoggiava principalmente sul contegno benevolo e sulla morale approvazione del più autorevole della camerata, quarto in quella costellazione di tirannelli.
      Bello, ricco, nobile, titolato e con un nome storico, due cose che non mancano mai di far gran colpo nell'animo dei giovani, il Principe d'Urbino aveva tutto ciò che si richiede per sedurre e tirare a sé gli animi della moltitudine. La vile parzialità dei superiori e le adulazioni, non meno usate nel collegio che nel gran mondo, erano riuscite a guastarne l'indole eccellente e a persuaderlo che i suoi titoli lo facevano molto superiore ai propri compagni plebei, e gli davano il diritto di comandar loro. Il principe, bisogna dirlo, usava parcamente del potere, che nel fatto divideva con Anastasio, di cui solamente approfittava per sfogare qualche sua vendetta personale, essendo molto vendicativo.


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





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