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      Ciò fatto, se ne andavano a sedere tranquillamente al proprio tavolino mangiando alle nostre spalle.
      Tanta è la forza dell'abitudine, che questa ributtante rapina si faceva oramai senza il più piccolo nostro lamento, e dai più veniva riguardata come una tassa legittima. Alcuni dei più minchioni andavano anche ad offrire spontaneamente il meglio che avessero.
      Quest'altra. Se mai a desinare od a cena fosse venuta una pietanza che gustasse al tiranno, si doveva mettere insieme, prelevandola dalla nostra, una porzione dieci volte maggiore per lui e per i suoi sgherri. Guai a noi, lo ricordo bene, se fosse stato portato in tavola un budino di riso o le fragole, poiché questi due cibi solleticavano il gusto squisito d'Anastasio! Ogni convittore che fosse visitato da qualche amico nel parlatorio, o condotto a casa per qualche festa, era subito richiesto di dichiarare che cosa avesse portato di buono, e due terzi andavano legalmente al fisco. Se questa dichiarazione non veniva fatta, o si rispondeva con qualche scappatoia, il colpevole era frugato nell'atto, gli era sequestrato il contrabbando ed amministrata una buona dose di percosse.
      Quest'altra ancora. Ogni qualvolta si facesse una merenda od una scampagnata a spese comuni, dovevamo pagar la parte di Anastasio e dei suoi bravi. Ed eravamo fortunati se accettavano l'offerta con buona grazia. Si doveva inoltre far per loro tutti i lavori di scuola, componimenti, versioni, ecc.; e questo per solito toccava a me.
      Tali erano le imposizioni ordinarie e direi quasi legali.


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





Anastasio Anastasio