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      Questo almeno era il nostro modo di pensare in collegio, e valga per quel che può valere. Inoltre il signor Lanzi aveva altri meriti intrinseci, più che bastevoli a guadagnarsi le nostre giovani menti.
      Veramente prodigiosa era la sua dottrina nella letteratura greca e romana, e s'intendeva molto anche di archeologia. A fatica si sarebbe trovato uno scrittore greco o latino, fosse anche il più oscuro, che egli già non avesse analizzato, notomizzato e passato al lambicco del suo cervello; non vi era scolio o commentario che fosse sfuggito ai nuovi scolii o commenti. Era poi un piacere indicibile sentirlo dissertare calorosamente per più ore sopra l'atrocem animum Catonis (l'invitto animo di Catone), d'Orazio, e sulla sostituzione d'un r ad un v nella parola diva. Dalla solennità del tono si sarebbe detto che il destino del mondo dipendesse da quella sua quistione. Era ammiratore esclusivo dei classici, e si sarebbe commosso fino alle lacrime sopra il Fons Bandusiae splendidior vitro (o fonte di Bandusia più trasparente del vetro), mentre alle bellezze di Shakespeare e di Schiller restava freddo e indifferente. Aveva poi tanto in odio i novatori, che ne avrebbe fatto, cred'io, un auto-da-fè. Tale era l'uomo che doveva farci poeti.
      Torniamo al soggetto.
      Si ricorderà il lettore con quanta impazienza aspettassi la lezione di poetica per provocare il principe. Avevo già esaminato il registro dei punti di merito, e ne avevo contati circa novecento sotto il mio nome e cento appena sotto quello del principe.


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





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