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      Credo di avere avuto la febbre.
      Tutto ad un tratto sonò il campanello: era la chiamata al refettorio. Fra mezz'ora il colpo sarà fatto, ed io non ci sarò! Mi mordevo le mani di rabbia, battevo col pugno stretto il pagliericcio, i muri, e la stessa mia fronte che mi bruciava: ma ora viene il peggio. Ascoltate! Il campanello suona di nuovo. Un convulso s'impossessa di me, l'anima mia è tutta quanta raccolta negli orecchi, mentre sto origliando alla porta. Ora è il momento! Odo un clamore dapprima indistinto, poi più chiaro; quindi un gridìo e un calpestìo; dopo una breve pausa, le grida e il calpestìo ricominciano. Certo combattono; quale strazio per me! "Aiuto! Lorenzo, aiuto!". Questo grido, che la mia immaginazione mi faceva sentire, dette la volta al mio cervello che già era alterato. Divenni addirittura frenetico; volai alla inferriata squassandola di tutta forza, e mi lacerai le mani tentando inutilmente di sforzare la serratura della porta. Qualunque tentativo non riusciva ad altro che farmi conoscere la mia impotenza; onde ruggivo come una bestia feroce.
      Se avessi avuto il modo, avrei dato fuoco alla prigione; e se avessi potuto avere un'arma, Dio sa che cosa avrei fatto! Alla fine, spossato e sanguinante, mi gettai sul pagliericcio, e vi rimasi palpitando ed ansando e talmente sfinito, che sperai di morire. I miei occhi si chiusero credendo che non si avessero più ad aprire.
      Una voce, che mi chiamò a nome, mi fece dare uno scossone. Quel torpore, che poco avanti avevo salutato come foriero della morte, si era risoluto in un sonno profondo che venne a ristorare le mie forze spossate e lo spirito abbattuto.


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





Dio