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      Dimodoché non sospettando di alcun laccio insidioso in quelle franche dichiarazioni del principe, e vinto per di più dalla sua eroica azione che lo innalzava smisuratamente ai miei occhi, sentii il vecchio rancore sciogliersi al caldo delle sue parole, e il suo cuore aprirsi alla più intera confidenza.
      Una stretta amicizia ci legò fin da quel punto, e dopo qualche altra rassicurante spiegazione, lo misi a parte di tutti i nostri disegni, delle nostre vedute e dei mezzi; ed egli da parte sua mi espose particolarmente tutti gli aiuti, sui quali potevo contare, e che era pronto a mettere al mio servizio. Questi aiuti erano la sua propria cooperazione, quella del Barilli e di un altro fra i suoi amici dei quali era sicuro come di sé stesso. Così noi eravamo in sette. Una forza materiale così riguardevole ed aiutata dalla autorità dei nostri nomi, messa sulla bilancia, era più che sufficiente per abbattere il tiranno. In conseguenza stabilimmo di fare senza i nostri alleati della prima camerata, e di compiere la nostra rivoluzione senza ausiliari: una vera rivoluzione nazionale. Fu anche stabilito di venire ai fatti appena fossimo restituiti alla camerata, senz'altro indugio che quello necessario al principe per tenere informati della cosa i propri amici.
      Nel punto stesso di separarci, dopo aver confabulato per più ore, m'entrò nell'animo un sentimento di diffidenza.
      Un momento!
      dissi articolando con forza ogni sillaba; "abbattere il tiranno non è tutto; noi dobbiamo abbattere la stessa tirannia e renderla da qui innanzi impossibile: ciò non può farsi che fondando la libertà". Credo di aver usato una frase di Tacito.


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





Barilli Tacito