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      Quando sonò il campanello che ci chiamava in cappella, detti un gran respirone e mi sentii sollevato. Anastasio potrà almeno avere un po' di tregua; ma ero in errore. Una nuova e peggiore tortura doveva toccargli. Non eravamo ancora giunti a capo di scala, che il terribile motto Aceto di Anastasio! era passato dal primo sino all'ultimo della colonna. Far l'aceto di qualcuno, nel gergo del collegio, significa chiuderlo nel mezzo ad un cerchio assai fitto di ragazzi che se lo mandano e rimandano, come una palla, oppure spingerlo contro un muro e cadérgli addosso tutti in un monte a rischio di soffocarlo. Fu preferito quest'ultimo modo. Anastasio non articolò parola, non un gemito gli sfuggì dal petto, durante questa nuova tortura, che per il pronto sopravvenire del prefetto non durò un minuto; ma egli dovette aver sofferto molto. Aveva la faccia convulsa, le labbra bianche, e barcollava come un ebbro. Le sue colpe erano certamente enormi, ma l'espiazione era veramente terribile. E siccome in quel che ci resta a dire della nostra vita di collegio non avremo più occasione di ripresentare Anastasio al lettore, diremo ora, in due parole, che cosa fu di un personaggio così disgraziatamente famoso.
      Per cinque giorni di seguito andò costantemente soggetto alla ripetizione degli insulti e delle torture che abbiamo raccontato. Era fuggito come un appestato, eccetto quando lo martirizzavano. Quelli che rimanevano vicino a lui nella sala di studio o a tavola, ed anche nel dormitorio, lo lasciavano solo; e alla passeggiata, il suo unico rifugio era al fianco del prefetto.


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





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