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      Nessuno permetteva di esser contaminato dalla vicinanza del Pària. Durante la ricreazione era escluso dal nostro consorzio e respinto in un angolo del piazzale da giuoco od al suo tavolino nella sala di studio.
      Guai a lui, se avesse ardito varcare la linea di separazione e mescolarsi cogli altri! L'unica specie di relazione, che passasse fra lui e i compagni, era quella di un servo col suo padrone. Anastasio infatti era divenuto l'ilota della camerata, e ognuno aveva il diritto di comandargli: "Anastasio vammi a prendere il tamburello". "Anastasio annaffiami i fiori". "Anastasio fa' questo, Anastasio fa', quest'altro" e era fortunato se non era sollecitato con qualche percossa.
      Questo nella nostra camerata. Fuori poi, tutte le volte che per un momento s'incontrava la nostra con le altre camerate, Anastasio era segnato a dito, schernito, vilipeso e maltrattato dai grandi e dai piccoli; poiché anche questi, incoraggiati dal suo avvilimento, si divertivano a percuoterlo con la corda. Dopo cinque giorni il povero ragazzo era appena riconoscibile. A vederlo pallido come la morte e a quel modo macilento, si sarebbe detto fosse uscito allora allora da una malattia di sei mesi, E per di più, nessuno sentiva per lui un'ombra di pietà, proprio nessuno tra cento convittori, eccetto Alfredo e me.
      I superiori avevano preso naturalmente le parti di lui, ma invano. Gli stessi castighi dati a qualcuno dei più turbolenti non riuscirono che ad irritare maggiormente gli altri. A farla breve, le cose giunsero al punto, che il quinto giorno della sua caduta, per un terribile aceto della prima e seconda camerata insieme, parve necessario ai superiori far le viste di mandarlo in prigione a fine di salvarlo dalla furia popolare.


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





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