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      Importava, dicemmo noi, alla dignità della camerata, di celebrare con ogni pompa e solennità possibile l'inaugurazione del nuovo ordine di cose, e quattro giorni non eran troppi a preparare una piccola festa nazionale, intesa a celebrare un fatto che, passato di generazione in generazione, sarebbe indimenticabile e segnerebbe un'era negli annali del collegio.
      L'affaccendamento della nostra piccola repubblica fin da quel giorno può solo essere paragonato a quello di un alveare di api. Tutte le teste e tutte le mani erano in opera per allestire un magnifico trionfo romano. Il merito di questa idea fu tutto mio. Chi potrebbe figurarsi l'enorme quantità di legno, pasta, colla, carta grigia, rossa, gialla, dorata e inargentata, che si consumò in quei quattro giorni? La sala da studio era divenuta un'officina, e le ore di lavoro più attivo erano quelle della ricreazione. Chi preparava una corazza, chi uno scudo, chi finiva un elmetto e chi una spada. I suonatori si provvedevano dei loro strumenti; i littori allestivano i fasci e ne ricoprivano le scuri con carta d'argento.
      Invece di descrivere minutamente quei lavori, lasciate che li comprendiamo con un'occhiata nel loro maestoso risultato.
      La domenica seguente, nell'ora della ricreazione e dopo le sacre funzioni, un lungo batter di tamburi annunziava il principio della processione, che subito si mosse; e lasciando il portico, sotto di cui si era radunata, entrò nel mezzo del cortile intorno al quale doveva girare. L'entrata era vigilata dal prefetto; ma le molte finestre aperte all'intorno erano stipate di spettatori delle altre camerate, che salutarono la nostra processione con alti evviva e prolungati applausi.


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471