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      Ho indugiato fin qui a far conoscere al lettore il prefetto della nostra camerata, per il solo timore che riuscisse incredibile quanto dovrò dire di lui. Ora però che dobbiamo vederlo in atto, confido che il poco lusinghiero ritratto che dovrò farne parrà ampiamente giustificato dalle sue azioni.
      Il prefetto della nostra camerata era un brutto e sudicio prete, con una gran pancia, con un gran naso rosso e bitorzoluto, che avrebbe potuto gareggiare con quello di Bardolph di Shakespeare, e con due occhi piccoli e felini, nei quali splendeva la malizia. Tale era in due parole don Silvestro. Appena capace di leggere il breviario, ignorante d'ogni lingua che non fosse il dialetto delle sue montagne, la sua ignoranza supina, della quale egli stesso non poteva non accorgersi, congiunta con una malignità naturale e istintiva, lo teneva in continua guerra con uno stuolo di giovani, la cui superiorità lo umiliava, e gli faceva vedere un insulto in qualunque parola che il suo ottuso cervello non riuscisse ad intendere. Ma questa specie di cattiveria latente si mutava in un'aperta guerra e in una terribile violenza ogni qualvolta fosse preso dall'accesso di una sorta di malattia che noi non sapevamo come definire, e che era né più né meno che una manìa malinconica. Io per me credo che, se non prodotta, fosse almeno aggravata dal soverchio bere; perché in quei momenti si sentiva intorno a lui alito di sostanze spiritose. La sua fissazione, durante quegli accessi, era che noi volessimo attentargli alla vita.


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





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