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      Ora immaginava che gli avessimo messo il veleno nel vino, ed ora che fosse bell'e fatta la congiura di assassinarlo mentre dormiva. Mi ricordo che un giorno prese per una minaccia di morte una croce rossa, che io avevo innocentemente dipinta sulla mia scrivania. Un'altra volta fece mettere in prigione un mio compagno, come colpevole di avere un temperino bene affilato con l'intenzione di tagliargli la gola. Questo disgraziato moriva pochi anni dopo in un manicomio, farneticando nei suoi ultimi momenti di niente altro che di veleni e di pugnali.
      A un tale uomo era affidata l'educazione di una ventina di giovani di buone famiglie! Pare incredibile, ma era così! Non è facile immaginare quanto noi soffrissimo per l'umore di don Silvestro, specialmente durante i suoi parossismi: punizioni inflitte a casaccio e ad ogni momento; falsi rapporti ai superiori, che spesso fruttavano pane e acqua; e, oltracciò, botte che piovevano sopra di noi come la gragnuola. La più piccola osservazione, l'indugio momentaneo a piegarsi ai suoi capricci, lo facevano andar sulle furie: libri, chiavi, calamai, la prima cosa, insomma, che gli capitasse alle mani, ce la scagliava nella testa. Un giorno nel piazzale da giuoco mi tirò una palla di legno così pesante da farmi rimanere sul tiro, se m'avesse còlto. Senza esagerazione, fu un miracolo che nessuno di noi rimanesse morto o storpiato.
      Un dopo pranzo, avendo io finito di scrivere un sonetto sulla morte di Annibale, e volendolo mettere a pulito, andai al tavolino di don Silvestro, per chiedergli un foglio di carta.


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





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