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      Don Silvestro gli raccontò il fatto, tacendo naturalmente la brutale provocazione che mi aveva fatta: "In ginocchio!" ruggì il Vicerettore. In ginocchio sul vestibolo, nel quale davano tutte le sale da studio! Io, essere così esposto agli occhi di tutta quanta la comunità, io, un principe, un console! No e poi no! Piuttosto la morte che questo disonore! Ma ahimè! le forze unite del prefetto e del Vicerettore mi strapparono presto dalla scrivania, che mi difendeva, e mi trascinarono in mezzo alla corsia. Però dal far questo a riuscire a mettermi in ginocchio trovarono molta differenza. Si provarono, ma inutilmente, di farmi violenza nelle gambe e di premere con tutto il loro peso sulle mie spalle; io però rimanevo sempre diritto. Alla fine il prefetto, furibondo per la mia resistenza, mi afferrò per il bavero e mi sbatacchiò contro la parete, nella quale andai a battere fortemente la faccia. Il colpo fu così atroce che io svenni. Quando mi riebbi, mi trovai steso sul pavimento in un lago di sangue che mi sgorgava dal naso. Avevo la testa orribilmente intronata e provavo nella faccia un sentimento di bruciore e di tensione insopportabile. Il prefetto e il Vicerettore stavano curvati sopra di me, provandosi a rialzarmi. La loro vista, assai più che il dolore che sentivo, ridestò le mie furie. Rialzarmi, fare il vestibolo di un lancio, saltar su per due scale, e correre come un razzo nella camera del P. Rettore, fu un punto solo: "Mandi per mia madre; voglio andar via subito: mia madre, voglio vedere mia madre!


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





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