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      Il giorno, dunque, della cattura che ho detto, al segnale, dato dal campanello, ci mettemmo in fila a due a due per tornare alla sala di studio: il Vadoni portava sulle spalle, come un trofeo, la sua trappola da topi. Bisognava passare per un andito stretto e buio, che metteva in un largo pianerottolo, che più volte abbiamo ricordato. Nell'andito incontrammo il Vicerettore, che si fermò a vederci passare innanzi a sé. Costui era un essere strano, o meglio erano in lui due esseri distinti e affatto opposti. Il Vicerettore della mattina era un uomo pallido, taciturno, serio ed anche malinconico; il Vicerettore del dopopranzo (il desinare dei reverendi padri si faceva al tocco) era affatto mutato, non solo nell'umore, ma anche nell'aspetto. Gli occhi gli brillavano, le guance si facevano accese, ed era pieno di allegrezza, di parlantina e di facezie. Una delle sue burle predilette (mi dispiace che non fosse saporita) era questa: quando per sorte incontrava una camerata, si fermava come per vederla passare; quindi, tutt'a un tratto, cogliendo il momento, tirava fuori una gamba e dava un buon calcio nel sedere a qualche ragazzo, che non se lo aspettava. Siccome questo suo scherzo era molto conosciuto, così dal momento che si vedeva nereggiare l'abito del Vicerettore, ciascuno si metteva in guardia, e tutti sfilavano innanzi al degno padre guardandosi attentamente intorno e non senza una visibile trepidazione. Questa specie di terrore che egli c'incuteva col suo incontro pareva essere assai gradito assai al buon uomo, accrescendo la sua giocondità.


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





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