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      Quel giorno la tempesta doveva cadere sul povero Vadoni. Egli stava guardando il frate con la coda dell'occhio, e vedendogli fare un movimento sospetto, spiccò improvvisamente un salto per evitare la pedata che gli sovrastava; ma nel far questo lasciò cadere la trappola, che portava sulla spalla, la quale si aperse nella caduta. Rapido come il lampo schizzò fuori il prigioniero andando a battere sulla faccia del Vicerettore, che, o per la violenza del colpo, o per la sorpresa, cadde all'indietro quanto era lungo. Tutto ciò in meno di dieci minuti secondi. Noi ridemmo sgangheratamente a questa disgrazia del padre faceto, e pensammo che gli fosse toccato quello che si meritava.
      Un quarto d'ora dopo il Vadoni era chiamato dal P. Rettore. Il campanello suonò per la scuola; il Vadoni non compariva: venne a suo tempo l'ora della ricreazione e noi tornammo sul piazzale da giuoco; ma il Vadoni non c'era. Senza dubbio era in prigione. Fin da quel momento un sentimento d'indignazione prese tutta la camerata: "È un'ingiustizia! Un'infame ingiustizia! Non possiamo sopportarla!". Ci raccogliemmo tutti insieme per deliberare. Diverse proposte erano fatte, ma senza condurre ad alcuna conclusione. "Si mandi una deputazione al P. Rettore", gridò una voce. Nessuno parve desideroso di andare a questa ambasceria, poiché la proposta non ebbe il favore di alcuno. Solamente lo Sforza, che fino allora era stato in silenzio crollò le spalle dicendo: "Sciocchezze!".
      Questo Sforza, che nel corso del nostro racconto abbiamo avuto occasione una sola volta di nominare, d'insignificante che era prima, aveva acquistato una certa riputazione per un atto di coraggio degno di essere riferito.


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





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