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      Un giorno il suo prefetto, montato in furia, lo aveva minacciato di un castigo. Sforza cavò fuori tranquillamente il temperino, dicendo con voce ferma: "Fatevi avanti, se avete coraggio!". L'atto risoluto del giovane aveva spaventato quel prete, che non fece più nulla della sua minaccia, e d'allora in poi lo Sforza era tenuto per il giovane più animoso della camerata.
      La generale irritazione andava più e più crescendo: si faceva grande spreco di parole e di gesti, ma senza effetto alcuno, quando lo Sforza prese a dire così: "A che servono le ciarle? Voi siete come i topi, che avevano deliberato di mettere un campanello al collo del gatto, ma non trovavano il modo. Meno parole e più fatti. Volete affidarvi a me? Io vi do parola che in termine di due ore sole il Vadoni tornerà nella camerata". "E come?" gridò una dozzina di voci. "Che importa sapere il come? Quello che vogliamo è il ritorno del Vadoni, e le parole non lo faranno mai tornare. Di nuovo, volete affidarvi a me e fare a modo mio?" Quel ragazzo non aveva mai fatto in vita sua un discorso così lungo.
      Si dice che in tempo di rivoluzione le forti ed energiche nature trovano il loro posto e pigliano il comando come di proprio diritto. Certamente in quel momento ciascuno di noi sentiva la superiorità dello Sforza e lo riconosceva per legittimo duce nella prova decisiva. Egli era veramente bello in quell'istante, e dal suo bruno volto, animato com'era, spiravano l'energia e la risolutezza. Tutti gli stringemmo la mano per accertarlo del nostro assenso ed aiuto, e due di noi furono subito spediti alla seconda e terza camerata col preciso incarico di stimolarle a seguire appuntino l'esempio della prima.


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





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