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      Mentre ci vestivamo, il Vicerettore entrò nel dormitorio, e preso in disparte il prefetto, s'intrattenne con lui in lungo colloquio; finito il quale, il prefetto se ne andò e rimase in luogo suo il Vicerettore. Senza essere indovino, era facile congetturare che il prefetto era stato mandato a chiamare per dare informazioni sulla rivolta della sera innanzi. Si vedeva bene che in aria c'era una burrasca. Io ne feci motto allo Sforza, nel tempo che entrammo nella sala da studio. "Bene! Non vorranno mica impiccarci" diss'egli. "Probabilmente no" e questo pensiero ci rassicurò.
      Il Vicerettore se ne stava pettoruto e con un'aria di fierezza. Circa un'ora dopo il prefetto fu di ritorno, e se n'andò il Vicerettore. Nell'aspetto di quello c'era una gravità che metteva paura. Noi non ardivamo di fiatare. Dopo dieci minuti ricomparve il Vicerettore seguito da un domestico: "Vadoni" disse aggrottando le ciglia "lasciate il vostro posto". Il ragazzo si fece innanzi bianco come un panno lavato. Il servitore, per ordine del frate, sgombrò la scrivania del Vadoni d'ogni sua cosa, libri, carta, ecc., e ne fece un fagotto. Tutti noi capimmo il significato di quell'atto. Il povero ragazzo si credette, senza dubbio, sotto l'oppressione di un incubo.
      Povero Vadoni! Se ci fu mai un essere innocente condannato a torto, era egli di sicuro. Non solo andava esente da ogni rimprovero, ma concorreva ancora al premio di buona condotta, altrimenti detto il premio delle oche. I superiori avrebbero dovuto inginocchiarsi dinanzi a lui e chiedergli perdono dell'ingiusta prigionia, e invece lo cacciavano dal collegio!


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





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