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      Nulladimeno la partita fu vinta, e io ebbi carta bianca per due abiti interi. Due gravi questioni sorsero allora, che occupavano tutti i miei pensieri. Quale stoffa avrei dovuto scegliere, e quale era il figurino che meglio si confacesse alla mia persona. Io non avevo con chi consigliarmi, perché il giorno dopo la distribuzione dei premi Alfredo era andato in provincia a passare in famiglia le vacanze, e dei due miei fratelli, ch'erano in casa, il più giovane che doveva prendere il mio posto nel collegio, mi assicurava poco in materia di gusto. Il più attempato poi, essendo già uomo fatto, mi ripugnava di consultarlo circa le debolezze della mia vanità. Cesare, che era maggiore di me di quasi diciotto mesi, il solo che mi avrebbe potuto aiutare, era andato in provincia dallo zio canonico per cambiar aria, e così rimettersi dagli effetti di una scarlattina; dimodoché mi trovavo del tutto abbandonato al mio proprio consiglio. Finalmente risolvetti che un uomo della mia importanza non poteva far senza un abito nero. Suppongasi (e che cosa poteva esserci di più facile?) che l'Arcivescovo o il Governatore della città mandassero a chiamarmi, e potessi anche (chi lo sa?) essere invitato a corte. Senza dubbio, dovevo avere un abito nero. Scelsi poi un vestito di panno color marrone, assai lucido, calzoni d'un celeste chiaro raccomandandomi caldamente al sarto che mi vestisse all'ultima moda, la quale in quel tempo era discretamente barocca. Mi ricordo che i calzoni erano all'"Ypsilanti", e cioè larghissimi con centinaia di pieghe alla cintura e fermati al piede da una staffa.


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





Alfredo Arcivescovo Governatore