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      Nondimeno, qualunque cosa fosse per accadere, la mia scelta tra un male certo ed uno incerto non poteva essere dubbia. Mi risolvetti adunque per il Seminario, e subito ne scrissi ad Alfredo. Pochi giorni dopo egli tornò col permesso di suo padre, di fare anch'egli gli studi di filosofìa nel Seminario, cosa che mi fu di gran contentezza.
      Le mie nuove occupazioni scolastiche erano per me tutt'altro che noiose. Le lezioni cominciavano alle dieci la mattina e finivano al tocco. Il resto della giornata era libero, eccetto il lunedì e il giovedì, nei quali giorni avevamo dalle quattro alle sei la lezione di morale. Io confabulavo poco co' miei nuovi condiscepoli, i quali si curavano poco della mia persona. A me bastava la compagnia d'Alfredo, e io e lui eravamo insieme dalla mattina alla sera. Nel dopo pranzo facevamo lunghe passeggiate, e se il tempo era bello, qualche corsa sul mare, ed era un continuo discorrere tra noi dei nostri progetti per l'avvenire, giurandoci di rimanere inseparabili per tutta la vita.
      Presto però apparve un punto nero sul mio orizzonte sotto la figura di un seminarista grande e grosso il doppio più di me; il quale non aveva tardato molto a riconoscermi e che io già avevo riconosciuto da qualche tempo. Costui cominciò a darmi certe guardatacce da bravo che io fingevo di non avvertire. Alle guardatacce s'aggiunsero presto scherzi villani e finalmente insulti diretti. Una mattina, quando meno me l'aspettavo, passando mi dette un tale urtone da gettarmi quasi in terra.


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





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