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      E una sera andammo e ci mettemmo alla finestra aspettando che comparisse la Dea.
      Sentivo di starci, non so perché, contro mia voglia, ed avrei pagato non so che cosa perché non fosse comparsa. E veramente tardò tanto a venire, che mi levai dalla finestra e mi posi sopra una seggiola all'estremità opposta della stanza. Quasi nello stesso momento Cesare mi disse a bassa voce: "È venuta!". Tentai d'alzarmi, ma non potei: mi pareva d'esser rimasto attaccato alla seggiola; qualche forza ignota mi teneva immobile. Feci una mezza dozzina di scuse, l'una più sciocca dell'altra, per non muovermi. Mio fratello e il suo amico mi burlavano e dicevano che avevo paura: "Oh, se ne va!". Queste parole mi resero il coraggio. Andai alla finestra e finsi di essere irritato che essa non tornasse indietro, tremando però all'idea che lo facesse. Mi irritai di nuovo dicendomi che sicuramente non sarebbe più tornata. Ma ritornò, e se ne andò di nuovo per ricomparire un'altra volta, senza che io fossi capace di vincere quella forza misteriosa che mi impediva di muovermi per tutto il tempo che ella rimaneva nel terrazzo.
      Tornati a casa, Cesare non mi parlò d'altro che del suo amore, e in un eccesso di passione dette di piglio al temperino e si pose ad incidere sul braccio sinistro l'iniziale del nome adorato: "Emilia". Io gli domandai se avrebbe difficoltà che io facessi lo stesso; e avendomi detto di no, mi posi alla stessa operazione che consisteva nell'incidere la pelle nella forma a un dipresso di, un'E, e di mettere un po' di inchiostro sopra il segno per cauterizzarlo e renderlo così indelebile.


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





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