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      Lei li conoscedisse egli "ed č uno del loro numero; e se anche non fosse, le parole detestabili che ha ora pronunziate, la rendono loro complice morale. Se ne vada, signore: ella ha soltanto quello che si merita".
      Che risposta potevo dare a una logica di questa fatta?
      Non mi ci provai neanche, e per non dare al degno Commissario l'opportunitā di ripetere l'intimazione di andarmene, partii col cuore pieno di amarezza e d'indignazione.
      Feci un fedele racconto di tutti i miei sforzi e della loro inutilitā a mio padre, che, per consolarmi, disse che non avevo saputo condurre le cose. Da quel giorno dovetti soffrire un martirio simile a quello del santo che fu abbrustolito a fuoco lento sopra una graticola. Un fuoco incessante di pungenti parole, di amari sarcasmi, di trasparenti allusioni era mantenuto continuamente attorno a me. Se qualche affare domestico andava male, era per colpa mia; se faceva cattivo tempo per tre giorni di seguito, era per la mia sregolata condotta. Qualche volta rimanevo colpito da una specie d'ammirazione per l'instancabile perseveranza di mio padre e per la sua ingenuitā. Da tutto prendeva partito. Il tempo era caldo, freddo, piovoso: la pioggia, il freddo, il caldo poco importavano per chi poteva starsene comodamente in casa. In ogni giorno festivo non mancava mai l'osservazione "che per certuni era sempre festa." Venivano in tavola delle mele o delle pere? "Erano sempre somigliantissime alle palle del bigliardo". Insomma, la fertile inventiva di mio padre era inesauribile.


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





Commissario Venivano