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      Ogni mezzo fu da lui tentato per distoglierlo: avvisi, esortazioni, preghiere, lusinghe, minacce: ma tutto invano. Una severa vigilanza fu quindi esercitata sopra il giovine novizio: gli fu interdetta ogni esterna comunicazione e anche le visite dello zio. Nel tempo stesso gli s'imponevano aspri doveri e diverse maniere di mortificazione, una delle quali consisteva nel fargli fare più e più volte colla lingua le croci sul pavimento: il suo vitto fu ridotto a poco, gli fu tolto ogni libro: insomma lo resero quanto più era possibile infelice.
      In quel frattempo il Vadoni era vicino ad uscire dai minori, e per conseguenza si approssimava l'ora fatale di professare gli irrevocabili voti. Il superiore tornò a fare di tutto per trascinarlo alla sua volontà, ma anche questa volta non vi riuscì. Allora il povero ragazzo fu gettato in una prigione sotterranea rischiarata soltanto da una lampada accesa dentro un teschio di morto. Il suo vitto era pane ed acqua, e poca paglia il suo letto. Spesso durante la notte era riscosso da improvviso strascinar di catene e da voci misteriose che gli minacciavano l'eterna dannazione. L'infelice non poté reggere a prove così atroci e chiese la grazia d'essere cavato dalla orrenda prigione per lui insopportabile, promettendo tutto quello che gli venne dimandato. "Fra un mese", conchiuse il Vadoni, "io sarò maggiorenne e... frate. Sento che non ho più la forza di resistere. Io non ero nato a combattere: essi mi hanno sopraffatto, schiacciato, annichilito.


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





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