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      . In un canto della stanza sedeva filando la figliuola della serva del nostro parroco, una strana figura di campagnola sui sedici anni. Si chiamava Santina: ma noi la chiamavamo la zingara, perché aveva certi capelli così neri e lucenti, e la carnagione così bruna che pareva propriamente tale. I suoi occhi erano neri e sfavillanti, lo sguardo penetrante come una freccia. A prima vista il suo aspetto aveva qualche cosa che respingeva; ma una volta fattovi l'occhio, si scopriva in esso un particolare allettamento, che andava crescendo di giorno in giorno. La Santina non perdeva una parola della nostra conversazione, a cui teneva dietro con tutto l'interesse, mettendoci raramente la bocca, ma sempre, quando lo faceva, con qualche originalità. Ogni cosa nella espressione della sua faccia e nel suo contegno rivelava una passione compressa.
      Eccetto Alfredo e lo Sforza, pochi ci venivano a visitare. Mio padre, che amava la campagna, veniva a vederci di rado, forse una volta ogni quindici giorni. Lo zio Giovanni e il maggiore de' miei fratelli, che faceva già buone pratiche da avvocato, erano confinati in città dai loro affari, fuorché la domenica, in cui venivano a passare la giornata a San Secondo. Noi però scendevamo ogni tanto in città, facendo una passeggiata di un'ora e mezza. Cesare, Fantasio ed io andavamo e tornavamo sempre insieme, e una mattina che v'erano andati senza dirmelo, ne rimasi molto maravigliato. Tornarono la sera senza dirmi una parola di spiegazione. Qualche giorno dopo, andaron via allo stesso modo.


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





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