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      Non saprei dirtelo" rispose Fantasio, "quello che so, è che dobbiamo andarci armati: questi sono gli ordini".
      Armatitanto bastò per infiammare la mia immaginazione. "Armati, mi hai detto? Ciò significa una sollevazione; non ti pare, Fantasio?". "Se non è questo, non so davvero che cos'altro possa essere" mi rispose. "In qualunque modo vedremo. Verso le dieci e mezzo sii con Cesare in casa mia: ti saluto!".
      Finalmente il momento decisivo era senza dubbio arrivato. A qual andare armati, se non era per agire? Il mio entusiasmo si rinfiammava tutto. Come mi accusavo della mia irragionevole diffidenza! Come mi sentivo ora odiosamente ingiusto! Avrei dato il mio sangue fino all'ultima goccia, se fosse stato di bisogno, per farne ammenda. Non c'era un momento da perdere. Presto dunque all'opera! Cesare ed io cercammo tutta la casa; tutte le vecchie armi dimenticate furono disseppellite; ne facemmo una scelta e uscimmo a comprare delle munizioni. Quel giorno pareva non volesse finir più. Come Dio volle, sonarono le dieci. In un batter d'occhio ci armammo come due scherami, muniti ciascuno d'un bastone con stocco, di due pistole da tasca e due da sella. Così armati fino ai denti e imbacuccati nei mantelli, uscimmo di casa col passo sicuro di uomini risoluti a vincere o a morire.
      Fantasio era pronto e armato di tutto punto, e ci avviammo tenendoci a braccetto. Dall'Acquaverde, dove abitava Fantasio, al ponte di Carignano c'è un bel tratto; ma a noi parve molto breve: tanto era l'ardore col quale dibattevamo gli eventi che sovrastavano.


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





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