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      E non solo ero riuscito a raccogliere intorno a me un certo numero di volonterosi compagni, ma avevo trovato ancora un inatteso e assai pregevole ausiliario nel giovane principe di Urbino.
      Dacché era uscito di collegio, ne avevo perduto ogni traccia, finché un giorno, e fu cinque o sei settimane indietro, m'accadde d'imbattermi per la strada nel mio focoso collega del Consolato. Ci corremmo incontro da vecchi amici, e fu per me una gran consolazione vedere la rotonda, rosea ed aperta fisonomia del quondam mio collega accendersi alla ricordanza delle nostre imprese fanciullesche. L'uomo esteriore era appena mutato, forse un po' tarchiato; l'uomo interiore era sempre lo stesso.
      Il principe d'Urbino, o meglio Giuseppe, come voleva sempre esser chiamato, era così modesto e alla mano, come quando fece la proposta dell'abolizione di tutti i titoli, e così ardente amico della libertà e nemico della tirannia, come quando condannò all'ostracismo la metà della seconda camerata.
      Uscito di collegio aveva sempre dimorato a Napoli, dove, per usare una sua espressione, le cose andavano all'indiavolata: soldati, preti e spie erano i padroni dispotici. Allora si era stabilito, si può dire, in Genova, mandatovi dalla famiglia per tener dietro ad una lite incominciata da venti anni e che prometteva di continuare per mezzo secolo.
      Lo presentai a Cesare e a Fantasio (per Alfredo e lo Sforza era una vecchia conoscenza), con l'aiuto dei quali presto addivenne un compagno operoso nel nostro lavoro segreto, cioè nel piano di federazione: poiché dell'altro, vale a dire della nostra affiliazione ai Carbonari, era lasciato del tutto al buio.


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





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