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      Mi accorsi allora che era una donna capace di dare effetto alle sue minacce e di mettermi in qualche brutto impaccio. Supponiamo che volesse irritare contro di me suo fratello. Questa supposizione e le spiacevoli conseguenze che ne potevano derivare, se mai si avverasse, mi davano molto a pensare, poiché, senza conoscere personalmente il conte Alberto, avevo per lui molta stima e gli volevo anche bene.
      Questi pensieri mi tennero inquieto per molto tempo; ma siccome passarono dei giorni senza che avvenisse nulla di sinistro, così meno frequentemente vi pensavo; quantunque di tratto in tratto mi ricorsero alla mente in tutta la loro primitiva forza e le parole di addio dettemi da Lilla e il loro accento, mi risonarono all'orecchio come un'eco di presagio funesto.
      Io avevo ripresa la mia vita abituale, passando le ore della mattina fino al mezzogiorno in casa, stando dalle dodici alle due nello studio del vecchio avvocato sotto di cui facevo, così per dire, le mie pratiche, e poi facendo la sera lunghe passeggiate con Cesare e con Alfredo. Me ne stavo anche più ritirato di prima, ed eccettuato il Principe, che era tornato allora allora da un viaggio a Napoli, lo Sforza e alcuni altri intimi amici che venivano quasi giornalmente a casa nostra, non vedevo alcuno.
      Circa in quel tempo ci eravamo un po' riavuti dallo stupore e scoraggiamento, in cui ci aveva gettati la partenza di Fantasio, e cominciavamo di nuovo a guardare intorno a noi.
      Ciò era dovuto specialmente a Cesare, il cui carattere energico ed alto doveva dargli naturalmente una piena autorità sopra tutto il giovane drappello per qualche tempo disperso e scorato, e che allora erasi con nuovo coraggio e vigore raccolto attorno a lui, come a suo capo.


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





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