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      L'utilità di questo secondo mezzo di diffusione era senza dubbio grande; ma i pericoli erano, a dir il meno, egualmente grandi. Il simultaneo apparire in tutti i punti del regno di scritti che destavano il malcontento, era sicuro indizio d'una permanente cospirazione, e una sfida continua al Governo.
      Vittorio fu il primo a farci avvertiti di questo pericolo e dell'assoluta necessità di venire prontamente all'azione. Egli aveva condotto a tal punto le cose nel corpo al quale apparteneva, che a suo giudizio saremmo stati inevitabilmente scoperti, se avessimo tuttavia indugiato: "se non diamo fuoco noi stessi alla mina" diceva "altri ci farà saltare in aria con la nostra polvere". Noi sentivamo al pari di lui lo stato precario della nostra condizione; ma sentivamo anche la responsabilità di un movimento prematuro, che poteva esser lasciato solo e così rovinare ogni cosa. Eravamo dunque nella più grande inquietudine.
      Perché una rivolta italiana avesse qualche probabilità di buon successo era necessario che fosse ordinata in modo da dividere le forze dell'Austria. A tal fine il piano del Comitato dirigente era che la sollevazione scoppiasse nel tempo stesso nelle due Sicilie e in Piemonte. Disgraziatamente Napoli non era ancora pronta, e domandava un po' di tempo. Nello stesso Piemonte, almeno in molte parti importanti del regno, il lavoro non era tanto innanzi quanto da noi, nel Genovesato propriamente detto.
      Tutto quello che potevamo fare in tale stato di cose, e non mancammo di farlo, fu di esporre fedelmente agli amici di Marsiglia la condizione de' nostri affari e i pericoli che da un più lungo indugio sarebbero derivati.


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





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