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      Il pensiero di mia madre lasciata nella solitudine la fece vacillare.
      Il Capitano ripeté che bisognava partire; altrimenti non avremmo più trovati gli uomini da lui fissati. Santina pareva così calma e tranquilla, che io pensai fosse meglio cogliere quel momento per andarmene. Poche parole: in fretta un bacio d'addio, e corsi alla porta. Ma prima che vi giungessi, Santina era sul pavimento in preda a terribili convulsioni.
      La passione lungamente compressa era alla fine scoppiata con una tremenda violenza. Gli sforzi uniti delle quattro persone presenti, tre delle quali erano giovinotti assai gagliardi, potevano appena padroneggiare i furiosi movimenti di quella smilza ragazza. Facevano orrore a vedersi i denti serrati e le scomposte fattezze della poverina; il corpo contorto e attorcigliato, le vene della gola e della faccia come se dovessero scoppiare. Ma sopra ogni altra cosa era orribile il pensiero che tutte queste sofferenze avevano origine da una causa morale.
      Di quando in quando la natura spossata concedeva a sé stessa una tregua; e allora la meschina si metteva a gemere su sé medesima con sì flebili parole, che tutti gli occhi, anche quelli del Capitano, sebbene poco avvezzi a bagnarsi di questo umore, erano pieni di lacrime.
      Oh poveretta me!
      diceva "che cosa ho fatto per meritarmi questo crepacuore? Vergine santa! È forse un peccato amare il proprio padrone? Non è colpa mia se non mi regge il cuore a vederlo partire. No, proprio il cuore non mi regge. Era un padrone così buono, così amorevole: lui m'insegnò a leggere e scrivere, non fu mai severo con me, non mi sgridò mai, non mi fece neanche il cipiglio.


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





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