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      Ci alzammo tutt'e due più presto che potemmo, e saltammo nella barca. Il capitano stesso prese un par di remi e fummo presto a bordo dell'altra barca, che era mancata all'appuntamento e, montativi, potemmo finalmente far vela per il luogo destinato.
      Nonostante tutti questi indugi e interruzioni, non erano di molto passate le undici quando lasciammo Sampierdarena. La notte era così tranquilla che il mare appariva appena appena increspato: perciò le vele riuscivano affatto inutili, e gli uomini continuavano a remare tenendosi molto vicini a terra. Verso l'alba si cominciò a sentire un po' di brezza: allora furono spiegate le vele, ed io poco dopo potei sentire il movimento accelerato della barca. La luna aveva brillato tutta la notte, e l'alto Faro di Genova, la Lanterna, che fino allora m'era stato visibile, cominciava a scomparire adagio adagio dai miei occhi, che si sforzavano tuttavia di scorgerlo molto tempo dopo averlo perduto di vista. Allora sentii in tutta la sua pienezza che io ero un fuggitivo. Sino a tanto che vidi quell'oggetto a me così noto, non m'ero potuto capacitare di essere interamente e assolutamente senza tetto, e di non aver forse a rimirare mai più la faccia di mia madre. Finché uno non ha provato non può conoscere tutta la confortante virtù d'associazione che lo lega ad oggetti inanimati e familiari. Quando perdei di vista la Lanterna, fu come se fossi stato di bel nuovo strappato dalle braccia dei miei cari e mi si affollò intorno alla mente un esercito di memorie dei passati giorni felici; giorni di gioventù, di gioia, di speranza, che non sarebbero più tornati per il povero esule.


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





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