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      È probabile che quella liberazione da una sofferenza fisica fosse dovuta all'estrema tensione e sopraffacimento dell'animo mio.
      Però, dopo qualche tempo, cominciai ad osservare che nella faccia dei miei compagni si vedeva qualche segno di inquietudine; perché davano delle occhiate ansiose ora al cielo ed ora alle onde, su cui eravamo propriamente sbalzati, e occhiate anche più ansiose al capitano; una specie di mutuo appello, che apparentemente rimaneva inavvertito e certamente senza risposta, poiché il capitano continuava a fumarsela, come se non si fosse accorto che v'erano nuvoli minacciosi, venti che mugghiavano e onde infuriate.
      Alla fine, dopo esser corso per qualche minuto innanzi vento con spaventosa velocità, ordinò agli uomini di ammainare le vele e di riprendere i remi. Quest'ordine parve rompere l'incantesimo che aveva tenuto fino allora quegli uomini in silenzio. Spàlatro fu colui che parlò, chiedendo con la voce soffocata dalla rabbia perché non ci sforzassimo di prender terra, finché il turbine non fosse passato. Il capitano, per unica risposta, gli ordinò di occuparsi de' suoi remi e di aspettare gli ordini, aggiungendo che aveva costume di comandare e di non essere comandato dalla sua gente. Il Rubicone era passato, e Spàlatro, mosso dall'istinto della propria salvezza destatosi allora in lui in tutta la sua forza dinanzi al pericolo, ad alta voce e con gli occhi rossi d'ira e di vendetta fissi su di me, giurò che non avrebbe risicata la pelle senza saperne la ragione.


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





Rubicone Spàlatro