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      Ma tutti questi pensieri e dolori, che urtavano insieme, erano un nulla a petto della straziante trepidazione e del terrore, che mi agitavano, sul conto di Cesare, il mio dolce amico e diletto compagno sino dall'infanzia. Avevo i più orribili presentimenti circa alla sorte di lui, e il presentimento spesso non è altro che la prescienza dell'affetto, come dovetti provarlo io stesso anche troppo crudelmente.
      Pensi il lettore tutta questa tortura morale, pensi tutta la sequela non interrotta di agitazioni che dovetti sopportare in così breve spazio di tempo, consideri l'esaurimento di forze in cui mi trovavo per difetto di cibo e di sonno, e non gli farà ispecie che nel momento, di cui ora scrivo, una febbre ardente mi avvampasse le vene e fossi vicino al delirio.
      Il pensiero dominante in mezzo a quella febbrile confusione della mente era questo: come sarebbe facile a coloro, nelle cui mani mi trovavo, il disfarsi della mia persona! Che cosa poteva impedire che mi derubassero, e poi la facessero finita con me, se fosse loro piaciuto? Chi avrebbe potuto smentire la loro asserzione d'avermi sbarcato in luogo sicuro? Ragionavo fra me e me nel modo più sicuro e più crudelmente ingegnoso per persuadermi che io avevo meno probabilità di giungere al luogo destinato, che se fossi stato un collo di merci. Per questo vi sarebbe stata una polizza di carico: e se non l'avessero portato a terra, il destinatario ne avrebbe fatta ricerca. Ma, a me, chi mi avrebbe cercato, chi mi aspettava? Dov'era la prova che fossi stato nella barca con quegli uomini?


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





Cesare