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      La presenza di quest'uomo, che si era meritata tutta la mia fiducia per la sua ferma e leale condotta durante la burrasca del giorno innanzi, aveva, senza che me ne fossi accorto, esercitata sopra di me una salutare influenza. Con lui adunque sparve quel piccolo barlume di ragione, che mi rimaneva tuttavia, ed io mi detti per perduto. Fin da quel momento non lottai più contro i fantasmi che m'assediavano, e divenni senza alcuna resistenza preda di orribili allucinazioni.
      Ora la figura di Spàlatro si alzava così gigantesca da toccare le nubi; ora le sue braccia e i remi che aveva in mano, si univano in un tutto spaventevole, e si sforzavano di ghermirmi; poco dopo gli occhi si facevano rossi come bragia, e io lo vedevo digrignare i denti contro di me, e misurarmi il pugno. Una volta sola mi parlò durante la notte, e la sua voce mi sonò all'orecchio come il rintocco dell'agonia.
      Non fareste meglio a stendervi giù e provarvi a dormire?
      mi disse.
      Se m'avesse detto più chiaramente: "Stendetevi giù, che possiamo assassinarvi" le sue parole non mi sarebbero venute all'animo con un significato più chiaro e più certo di quelle che veramente aveva profferite. Ma è tempo di finirla con questo lungo combattimento di una ragione, il cui lume si spegne. C'è qualche cosa di ributtante e di avvilito per la natura umana nello spettacolo di un cervello oscurato, che si affanna a combattere contro i pericoli immaginari. E dico a bella posta immaginari; perché desidero s'intenda bene che, tolto un certo rancore che Spàlatro aveva contro di me e che non sapeva nascondere, tutto il resto era né più né meno che l'opera d'un cervello esaltato.


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





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