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      L'istinto della propria conservazione mi gridava imperiosamente che era ormai tempo ch'io ripigliassi in mani le redini della ragione e mettessi un freno ai pensieri: ma per quanto facessi (e qual fatica, qual lotta non fu la mia!) non potevo riuscirvi. Non è possibile dare ad intendere con le parole la cupa disperazione in cui mi gettava il sentirmi impotente ad aiutarmi. Se in quel momento fosse apparso un Carabiniere e m'avesse preso per il petto, l'avrei ringraziato d'aver posto un termine a quell'agonia.
      Da questo stato mi scosse un abbaiar di cani sotto di me. V'era in un cantuccio della mia memoria una confusa idea d'aver letto od udito come nel mezzogiorno della Francia si costumasse dar la caccia agli uomini per mezzo dei cani. E quantunque sapessi molto bene di non trovarmi in Francia, pure m'immaginai d'essere stato visto e riconosciuto e d'aver quei cani sulle mie traccie. Balzai in piedi e mi detti a correre alla ventura, come una bestia selvaggia inseguita dai cacciatori, finché giunsi all'orlo di un precipizio che m'impedì di andare avanti: "Non sarebbe molto meglio gettarvisi a capofitto, e farla finita con le miserie di quaggiù?". La vista di quel precipizio aveva su me un certo fascino: in fondo ad esso v'era il riposo: "E tua madre?". Mi guardai attorno per vedere chi parlasse: naturalmente non v'era nessuno. Però il pensiero di mia madre era venuto a tempo per salvarmi, e indietreggiai con orrore dall'orlo del precipizio.
      L'abbaio era cessato: "Proviamo a dormire: il sonno mi farà bene". Piegai a doppio il mio abito perché mi facesse da guanciale, e mi stesi per terra.


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





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