Pagina (439/471)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      Ma quello che potevo distinguere attraverso alla nebbia, in cui erano avvolte, bastava per darmi vergogna della trista figura che avevo involontariamente fatta; rimorso della maniera indegna con la quale avevo trattato il Capitano e la sua gente. Ma che potevo farci? Nulla, eccetto che cogliere la prima occasione che mi si presentasse, di scolparmi di ogni accusa, e fare in modo che o prima o poi potessero sapere il mio rincrescimento: e questo feci appena fui in condizioni di poterlo fare.
      Dopo colazione, per ammazzare il tempo, poiché non avevo né libri, né penne, né calamaio, mi posi ad esaminare il mio nuovo albergo. La stanza nella quale avevo pernottato era malinconica come la cella di un convento; non aveva, per quanto posso ricordarmi, altra luce che quella che riceveva dalla finestra d'una scaletta a chiocciola, la quale metteva a una stanza superiore, in tutto e per tutto come quella di sotto, sia per grandezza come per mobilia, eccetto che non v'era un letto, ma con l'inestimabile vantaggio, per un povero prigioniero, d'una finestra, da cui si aveva il bel prospetto della circostante campagna. Lì passavo le ore; né altra interruzione avevano le mie solitarie riflessioni che la colazione e il desinare. Io non vedevo la persona che mi portava da mangiare; le vivande erano sempre consegnate a Pietro, l'uomo che avevo veduto la notte del mio arrivo.
      La sera il Dottore venne a vedermi, ma con la più gran precauzione. Simili a una muta di cani, i poliziotti fiutavano in aria la loro preda; ed era molto importante per la mia sicurezza che non fossero messi sulla traccia.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





Capitano Pietro Dottore