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      Ritorniamo al nostro Annibale, e per dargli quel che gli va, confessiamo pure ingenuamente che se non vi fosse altra bilancia per pesare gli uomini che la guerra, nessuno degli antichi doverebbe preferirsegli. Ma le virtù che si praticano tra i cittadini hanno esse ancora il lor pregio, come l'hanno i talenti che s'impiegano contro gl'inimici, e ognuna nel suo genere, tutte le qualità grandi sono stimabili.
      La nobiltà de' pensieri, la grandezza dell'animo, la magnanimità, il disinteresse, un genio grande e universale, queste sono le vere parti integranti dell'uomo grande. Il non esser buono se non a ammazzar degli uomini, l'esser miglior maestro degli altri in desolar la società civile e in distrugger la natura, questo è un esser eccellente in un'arte molto funesta. A pretender di graduarla a virtù, conviene usarne secondo le regole della giustizia e della ragione, facendola servire all'interesse pubblico, o alla necessità particolare, e s'egli è possibile ancora, al bene di quei medesimi ch'ella assuggettisce. Ma quando ella serve al disordine, quando ella diviene un puro sfogo del furore, quando ell'ha per unico fine la distruzione del mondo, allora bisogna spogliarla di quella gloria ond'ella si riveste, e renderla, s'egli è mai possibile, altrettanto infame quant'ella è ingiusta. Ora Annibale aveva pochissime virtù e dimolti vizi: perfido, avaro, crudele, alcune volte, in vero, per necessità, ma però sempre per natura. Per altro, dicansi quel che vogliono i più savj, i più voglion giudicar dall'evento.


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Opere slegate
di Charles de Marguetel de Saint-Denis de Saint-Évremond
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