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      Mi par pure che abbiano trovato parole e modi di metterle insieme da lasciarsi intendere bastevolmente. Vero è che le parole di costoro erano cose, e le cose di questi sono parole: e di qui è che quelli, non avendo a far altro che semplicemente vestir l'ignudo, dirò così, d'un sentimento grande, non avevano di bisogno d'altr'arte che d'obbedire al naturale con la facilità e la naturalezza delle convenienti espressioni, sicuri che la perfetta simetria della cosa vestita aveva a far apparir graziosa la veste ancora; là dove quest'altri, avendo alle mani le loro miserabili sconciature, s'avvisano di nascondere la gracilità o le storpiature con ravvolgerle in un panneggiamento così dovizioso e pittoresco che non è poi meraviglia se per farglielo stare addosso convenga loro il mandarglielo tutto in strascichi e in svolazzi a forza di parole e di suono. Io non dirò del verso, perchè so che costoro adducono in loro favore il privilegio della libertà poetica, dandogli in oltre di pazze estensioni, e non considerano che non v'è libertà che non abbia a render conto di sè a qualche legge, altrimenti ella non è più libertà, è libertinaggio. La Poesia greca non era superstiziosa, è vero, ma ella non era nè anche libertina; ella era ornata, ma non mascherata: ella parlava alla divina, ma si ricordava che a voler essere intesa dagli uomini aveva a concepire all'umana. Sofocle e Euripide talvolta si sollevavano col coturno, e Aristofane col socco, ma nè l'uno nè gli altri giammai co' trampani.


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Opere slegate
di Charles de Marguetel de Saint-Denis de Saint-Évremond
pagine 263

   





Poesia Euripide Aristofane