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      Se questo discorso cammina, io non so vedere dove Berville si possa fondare la sua conjettura. Sapete voi dove più tosto crederei che Petronio avesse preteso di cignerla a Seneca? dove parlando dello stile del suo tempo rimpiagne così a cald'occhj la corruzione dell'Eloquenza e della Poesia. Quel controversiæ sentenziolis vibrantibus pictæ, che gli davano così nel naso; quel vanus sententiarum strepitus, che gli faceva tanto di capo, a mio giudizio s'adatta a Seneca: quel per ambages Deorumque ministeria, a Lucano; e in generale quel gran mettere in cielo ch'ei fa di Cicerone, di Virgilio e d'Orazio, non è altro che un mettere in terra dello Zio e del Nipote. Ma lasciando l'interpretar la mente di Petronio e tornando a Seneca, io non lo leggo mai che non mi venga fatto naturalmente il mettermi su la difesa de' sentimenti ch'ei pretende d'insinuare al lettore. Egli vuole innamorarmi della povertà? ed io mi muoio di voglia di quei suoi tanti milioni. Mi vuol rendere amabile la virtù? ed io ne spirito di paura: per fare un vero voluttuoso del più austero uomo del mondo, fategli vedere il ritratto ch'ei fa de' piaceri, e ve lo do per fatto. In somma, con quel suo tanto discorrer della morte m'empie il cervello d'idee così funeste che fo il possibile per dimenticarmi di tutto quello che ho letto. Quello che io trovo di più bello nelle sue opere sono gli esempj e le allegazioni. Secondo ch'ei si trovava in una Corte d'un perfettissimo gusto, e ch'ei sapeva mille belle cose del tempo passato e del presente, ne mette delle bellissime e de' Greci e de' più illustri Romani, come di Cesare, d'Augusto e di Mecenate; perchè poi, in sustanza, dello spirito non gliene mancava, e la sua cognizione era di là da vasta.


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Opere slegate
di Charles de Marguetel de Saint-Denis de Saint-Évremond
pagine 263

   





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