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      Benedetto capriccio, dunque, che si fa abbracciare dai nostri maggiori nemici: ma non già benedetto quell'altro, che ci rende così despotici in tutte le arti e così presontuosi in giudicar dei parti dell'altrui menti senz'ascoltar il buon gusto nè la ragione.
      Questa vorrebbe da noi che, arrivati una volta che noi fussimo alla perfezione d'una cosa, ci contentassimo di fissar la nostra volante delicatezza a conoscerla, e la nostra giustizia a stimarla sempre. Senza di questo rimarremo sempre sottoposti al giustissimo rimprovero, che i forestieri son più giusti stimatori dell'eccellenza delle nostre cose di noi medesimi. Così ci toccherà a veder quel che sarà uscito di buono da noi durar meritamente in credito tra gli altri dopo ch'ei ci sarà uscito di grazia: e rigettar le nostre debolezze dalla maturità del lor senno nel tempo medesimo che noi le mettiamo in Cielo per un'incapatura redicola.
      Ma il bell'è che no' abbiamo un altro difetto che fa ai calci con questo, e non è niente meno intollerabile: Rimpiagner sempre quel che s'è fatto in altri tempi, e sfatar sempre quel che si fa nel nostro. Di questo, Orazio se n'è servito per formarne il carattere della Vecchiaia: e per verità, un Vecchio non può mai ritrarsi più al naturale
     
      Difficilis, querulus, laudator temporis acti.
     
      In questo nostro secolo miserabile c'è questo fare: di voler sempre per debitori gli oggetti di tutto il male che vien dalla nostra fastidiosaggine: e quando una dolce rimembranza di quel che siamo stati una volta, ci svaga dall'odiosa riflessione sul nostro esser presente, ci vien fatto facilissimamente il rivestir d'una gala immaginaria molte cose passate, che quando furono vissero molto positivamente: e tutto questo perchè con la loro idea ci si risveglia anche quella della nostra gioventù che ci teneva in una tempera da farci piacere ogni cosa.


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Opere slegate
di Charles de Marguetel de Saint-Denis de Saint-Évremond
pagine 263

   





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