Pagina (223/263)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      E vaglia a dire il vero, in un tempo che le ricchezze si punivano con l'infamia e che la povertà si premiava con l'onore, mi par che il saper esser povero non fosse punto mestier da gonzi, essendo questa una certa razza di povertà che, portando le persone alle prime cariche della Repubblica, dava più occasione d'aver a esercitar la moderazione che la pazienza. Io quanto a me, non saprò mai compatire una povertà onorata da tutto il mondo e che non ha altra carestia se non di quelle cose, l'esser privo delle quali è sodisfazione o interesse. Alla fe', che privazioni di questa sorta son molto deliziose. Elle non fanno altro male che restituire in un più gentil regalo allo spirito quel che si vuole e che piace rubare ai sensi.
      E poi, che sappiamo noi che Fabrizio non ci fosse portato per genio? Quanti ce ne sono, che s'impicciano con le cose superflue e che più volentieri assai si goderebbono in pace le comode, e a un bel bisogno, le puramente necessarie? Ma chi va poco adentro ammira una moderazione apparente, dove un più fino discernimento gli scoprirebbe o la poca sfera d'uno spirito gretto, o la morta attività d'un animo infingardo: a questi tali il far col poco leva più fatica che gusti. Io dirò più: una volta che l'esser povero non sia vergogna, ci mancano meno cose per viver alla comoda nella povertà che per vivere alla grande nelle ricchezze. Avete voi per infelice (parlo dal tetto in giù) quel Religioso solamente d'abito, che dimenticato de' suoi doveri, si vede portato in palma di mano nella sua religione, e in un credito grande tra i secolari?


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Opere slegate
di Charles de Marguetel de Saint-Denis de Saint-Évremond
pagine 263

   





Repubblica Fabrizio Religioso