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      Io mi figuro in quel tempo Roma, lasciatemi dir così, come un perfetto Ordine religioso dove ciascheduno si dispropriava de' proprj beni per trovare un altro bene e maggiore in quello della comunità. Il male è che queste massime non posson durare se non nei piccoli stati. Nei grandi, ogni apparenza di povertà porta subito il disprezzo, e il più che vi si possa desiderare è che non passi in lode l'abuso delle ricchezze. Se Fabrizio fosse vissuto nella grandezza della Repubblica, affe', affe', o ch'egli averebbe mutato concetti, o ch'ei si sarebbe veduto inutile alla sua patria; come, all'incontro, se gli uomini da bene degli ultimi tempo fossero stati a quel di Fabrizio, o che averebbono un po' inacidita la lor dabbenaggine, o che si sarebbon trovati sbalzati dal Senato per cittadini corrotti.
      Parlato de' Romani, tocca adesso a parlar un po' di Tarquinio, che ha avuto necessariamente a venir tante volte sul tappeto in questo discorso.
      Questo, per confessione dell'istesso Annibale che lo metteva immediatamente dopo Alessandro e innanzi a sè, credo più per modestia che perch'ei lo credesse, è stato assolutamente il maggior Capitano del suo tempo.
      Univa Pirro il delicato nel negoziare alla maestria nella guerra, e pure non arrivò ad assodar mai niente.
      S'ei vinceva le battaglie, da ultimo perdeva la guerra. Sapeva farsi degli alleati, ma non gli sapeva mantenere. Questi due talenti mirabili, impiegati mal a tempo, si guastavano il lavoro l'un l'altro.
      Appena adoprata felicemente la forza, gli veniva voglia d'introdurre il negozio; e come s'ei se la fosse intesa con l'inimico, si tagliava la strada per andar innanzi da sè da sè. Se oggi gli era riuscito di guadagnarsi gli affetti d'un popolo, domani pigliava misure per cacciarselo sotto, e così gli veniva fatto di perder gli amici senza vincere i nemici; questi, ancorchè vinti, mettendosi subito su l'aria di vincitori col non voler dar orecchio alla pace che veniva loro offerta, e quelli non solamente ritirandosi dal prestargli assistenza, ma ingegnandosi di disfarsi d'un collegato che gli trattava da padrone.


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Opere slegate
di Charles de Marguetel de Saint-Denis de Saint-Évremond
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