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      Stette là alcuni minuti colle braccia incrociate, fermo come la rupe che lo reggeva, aspirando con voluttà i tremendi soffi della tempesta e spingendo lo sguardo sullo sconvolto mare, poi si ritirò lentamente, rientrò nella capanna e si arrestò dinanzi all'armonium.
      — Quale contrasto! — esclamò. — Al di fuori l'uragano e qua io! Quale il più tremendo?
      Fece scorrere le dita sulla tastiera, traendo dei suoni rapidissimi e che avevano qualche cosa di strano, di selvaggio e che poi rallentò, finché si spensero fra gli scrosci delle folgori ed i fischi del vento.
      Ad un tratto volse vivamente il capo verso la porta lasciata semiaperta. Stette un momento in ascolto, curvo innanzi, cogli orecchie tesi, poi uscì rapidamente, spingendosi fino sull'orlo della rupe.
      Al rapido chiarore di un lampo vide un piccolo legno, colle vele quasi ammainate, entrare nella baia e confondersi in mezzo ai navigli ancorati. Il nostro uomo accostò alle labbra un fischietto d'oro e mandò tre note stridenti; un fischio acuto vi rispose un momento dopo.
      — È lui! — mormorò con viva emozione. — Era tempo!
      Cinque minuti dopo un essere umano, avvolto in un ampio mantello grondante d'acqua, si presentava dinanzi alla capanna.
      — Yanez! — esclamò l'uomo dal turbante, gettandogli le braccia al collo.
      — Sandokan! — rispose il nuovo venuto, con un accento straniero marcatissimo. — Brr! Che notte d'inferno, fratellino mio.
      — Vieni!
      Attraversarono rapidamente le trincee ed entrarono nella stanza illuminata, chiudendo la porta.
      Sandokan riempì due bicchieri e porgendone uno allo straniero che si era sbarazzato del mantello e della carabina che portava ad armacollo, gli disse, con accento quasi affettuoso:


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Le Tigri di Mompracem
di Emilio Salgari
pagine 343