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Giunto sulla cima della grande rupe, Sandokan si fermò sull'orlo e il suo sguardo si spinse lontano, lontano verso l'est, in direzione di Labuan.
— Gran Dio! — mormorò egli. — Quale distanza mi separa da quella celeste creatura! Cosa farà lei a quest'ora? Mi piangerà per morto o mi piangerà prigioniero? Un sordo gemito gli uscì dalle labbra e chinò il capo sul petto.
 — Fatalità! — mormorò.
 Aspirò il vento della notte come se aspirasse il lontano profumo della sua diletta, poi si avvicinò a lenti passi alla grande capanna, ove era ancora illuminata una stanza.
 Guardò attraverso i vetri di una finestra e vide un uomo seduto dinanzi ad un tavolo, colla testa fra le mani.
 — Yanez — disse, sorridendo tristemente. — Cosa dirà quando saprà che la Tigre torna vinta e stregata?
 Soffocò un sospiro e aprì pian piano la porta, senza che Yanez lo udisse.
 — Ebbene, fratello — disse, dopo qualche istante. — Hai dimenticato la Tigre della Malesia?
 Le parole non erano ancora terminate, che Yanez si slanciava fra le sue braccia, esclamando:
 — Tu! tu!... Sandokan!... Ah! io ti credevo ormai perduto per sempre!
 — No, sono ritornato, come ben vedi.
 — Ma disgraziato amico, dove sei stato tutti questi giorni? Sono quattro settimane che io attendo in preda a mille ansie. Cos'hai tu fatto in tanto tempo? Hai saccheggiato il sultano di Varauni o la «Perla di Labuan» ti ha stregato? Rispondi fratello mio, che l'impazienza mi strugge.
 Invece di rispondere a tutte quelle domande, Sandokan si mise a fissare in silenzio, colle braccia incrociate sul petto, lo sguardo torvo ed il volto abbuiato.
 
        
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