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      ...
      — È qui che tu sei approdato?...
      — Sì, qui, Yanez. Allora ero l'invincibile Tigre della Malesia, allora non avevo catene attorno al cuore né visioni dinanzi gli occhi.
      «Mi sono battuto come un disperato, trascinando i miei uomini all'abbordaggio con furore selvaggio, ma mi hanno schiacciato.
      «Il maledetto che ci copriva di ferro e di piombo era là!... Mi pare ancora di vederlo come in quella tremenda notte che io l'ho assalito alla testa di pochi prodi. Che momento terribile, Yanez, quale strage!... Tutti sono caduti, tutti, meno uno: io!...»
      — Rimpiangi quella sconfitta, Sandokan?
      — Non lo so. Senza quella palla che mi colpì, forse non avrei conosciuto la fanciulla dai capelli d'oro.
      Tacque e discese verso la spiaggia, spingendo gli sguardi sotto le azzurre acque della baia, poi s'arrestò colle braccia tese, additando a Yanez il luogo ove era avvenuto il tremendo abbordaggio.
      — I prahos riposano laggiù, — disse, — chissà quanti morti contengono ancora nei loro scafi.
      Si sedette sul tronco di un albero caduto forse per decrepitezza, si prese il capo fra le mani e s'immerse in profondi pensieri.
      Yanez lo lasciò assorto nelle sue meditazioni e s'avventurò fra le scogliere frugando, con un bastone acuminato, nei crepacci per vedere se riusciva a scoprire qualche ostrica gigante.
      Dopo d'aver girovagato per un quarto d'ora, tornò alla spiaggia portandone una così grossa che era imbarazzato ad alzarla. Accendere un bel fuoco ed aprirla fu per lui l'affare di pochi istanti.
      — Orsù, fratellino mio, lascia i prahos sott'acqua ed i morti in bocca ai pesci e vieni a dare un colpo di dente a questa polpa squisita.


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Le Tigri di Mompracem
di Emilio Salgari
pagine 343

   





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