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I due pirati perduti in mezzo a quella fitta foresta, che poteva chiamarsi veramente vergine, si trovarono ben presto nella impossibilità di avanzare. Sarebbe stato necessario il cannone per sfondare quella muraglia di tronchi d'alberi, di radici e di calamus.
 — Dove andiamo Sandokan? — chiese Yanez. — Io non so più da quale parte passare.
 — Imiteremo le scimmie — disse la Tigre della Malesia. — È una manovra a noi familiare.
 — E molto apprezzabile, anzi, in questi momenti.
 — Sì, poiché faremo perdere le nostre tracce agl'inglesi che c'inseguono.
 — Sapremo poi dirigerci?
 — Tu sai che noi bornesi non perdiamo mai la buona direzione, anche se manchiamo di bussola. Il nostro istinto di uomini dei boschi è infallibile.
 — Che siano già entrati in questa foresta gl'inglesi?
 — Hum! Lo dubito, Yanez — rispose Sandokan. — Se fatichiamo noi già abituati a vivere in mezzo ai boschi essi non avranno potuto fare dieci passi. Nondimeno cerchiamo di allontanarci presto. So che il lord tiene dei grossi cani e quei dannati animali potrebbero giungerci alle spalle.
 — Abbiamo dei pugnali per sventrarli, Sandokan.
 — Sono più pericolosi degli uomini. Orsù Yanez, forza di braccia. Aggrappati ai rotang, ai calamus ed ai sarmenti dei piper i due pirati si misero a scalare la muraglia di verzura con un'agilità da fare invidia alle stesse scimmie. Salivano, scendevano, poi tornavano a risalire passando fra le maglie di quella immensa rete vegetale e scivolando fra le smisurate foglie dei foltissimi banani o dei tronchi colossali degli alberi.
 
        
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