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      Alla loro inattesa comparsa, fuggivano schiamazzando le splendide colombe coronate o quelle dette morobo; i tucani dal becco enorme e dal corpo scintillante di piume rosse ed azzurre scappavano mandando delle note stridenti, somiglianti al cigolare d'un carro male unto; s'innalzavano, come fulmini, gli argo dalle lunghe code macchiate e sparivano le belle alude dalle penne color turchese, facendo udire dei lunghi fischi.
      Anche delle scimmie dal naso lungo, sorprese da quell'apparizione, si slanciavano precipitosamente verso gli alberi vicini, mandando grida di spavento, correndo poi a nascondersi nei cavi dei tronchi.
      Yanez e Sandokan, per nulla inquieti, proseguivano le loro ardite manovre, passando di pianta in pianta senza mai porre il piede in fallo. Si slanciavano fra i calamus con sicurezza straordinaria, rimanendo appesi, poi con un nuovo slancio passavano sui rotang, per poi aggrapparsi ai rami di questo o di quell'altro albero.
      Percorsi cinque o seicento metri, non senza aver corso più volte il pericolo di capitombolare da altezze che mettevano le vertigini, si arrestavano fra i rami di un bua mamplam, pianta che produce delle frutta piuttosto detestabili pei palati europei, essendo impregnate d'un forte odore di resina, ma che pure sono assai nutritive e anche non sgradite agli indigeni.
      — Possiamo riposarci qualche ora — disse Sandokan. — Nessuno verrà di certo a disturbarci in mezzo a questa foresta. È come se noi ci trovassimo in una cittadinella ben bastionata.
      — Sai, fratellino mio, che noi siamo stati fortunati a fuggire a quei bricconi?


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Le Tigri di Mompracem
di Emilio Salgari
pagine 343

   





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