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      Già si erano arrestati dietro ad un grosso ramo che si slanciava sopra il fiumicello ed avevano appoggiati su quello i loro fucili per meglio mirare, quando videro l'urang-outan balzare improvvisamente in piedi percuotendosi furiosamente il petto e digrignando i denti.
      — Cos'ha? — chiese Yanez. — Che ci abbia già scorti?
      — No — disse Sandokan. — Non è con noi che sta per prendersela.
      — Che qualche altro animale cerchi di sorprenderlo?
      — Sta' zitto: vedo dei rami e delle foglie a muoversi.
      — Per Giove!... Che siano gl'inglesi?
      — Taci, Yanez.
      Sandokan si issò silenziosamente sul ramo e, tenendosi nascosto dietro un cespo di rotang scendente dall'alto, guardò verso la riva opposta, là dove si trovava l'urang-outan.
      Qualcuno s'avvicinava, muovendo con precauzione le foglie. Ignaro forse del grave pericolo che l'attendeva, pareva che si dirigesse precisamente là dove s'alzava il colossale durion.
      Il gigantesco quadrumane l'aveva già sentito e si era gettato dietro il tronco dell'albero, pronto a piombare su quel nuovo avversario ed a metterlo a pezzi. Non gemeva né urlava più; solamente un rauco respiro poteva tradire ancora la sua presenza.
      — Dunque, cosa succede? — chiese Yanez a Sandokan.
      — Qualcuno si avvicina incautamente al maias.
      — Un uomo od un animale?
      — Non riesco ancora a scorgere l'imprudente.
      — Se fosse qualche povero indigeno?
      — Siamo qui noi e non lasceremo tempo al quadrumane di massacrarlo. Eh!... Me l'ero immaginato. Ho scorto una mano.
      — Bianca o nera?
      — Nera, Yanez. Mira l'urang-outan.


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Le Tigri di Mompracem
di Emilio Salgari
pagine 343

   





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