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      Essendo cresciuto il vento, il piccolo legno, che fino allora non aveva potuto raggiungere i dieci nodi, aveva preso un'andatura più rapida. Le sue immense vele, gonfie come due palloni, esercitavano sul legno uno sforzo straordinario.
      Non correva più: volava sulle tranquille acque del mare, sfiorandole appena. Vi erano anzi certi momenti che pareva perfino che si sollevasse e che il suo scafo non toccasse nemmeno l'acqua.
      L'incrociatore tirava furiosamente, ma ormai le sue palle cadevano tutte nella scia del praho.
      Sandokan non si era mosso. Seduto accanto alla sua rossa bandiera, spiava attentamente il cielo. Pareva che non si occupasse nemmeno più del vascello, che gli dava la caccia con tanto accanimento.
      Il portoghese, che non capiva quale idea avesse Sandokan, gli si avvicinò dicendogli:
      — Cosa vuoi fare adunque, fratellino mio? Fra un'ora noi saremo ben lontani da quel legno se questo vento non cessa.
      — Aspetta ancora un po', Yanez — rispose Sandokan. — Guarda laggiù, ad oriente: le stelle cominciano ad impallidire, e pel cielo si diffondono di già i primi chiarori dell'alba.
      — Vuoi trascinare quell'incrociatore fino a Mompracem per poi abbordarlo?
      — Non ho questa intenzione.
      — Non ti comprendo.
      — Appena l'alba permetterà all'equipaggio di quel legno di scorgermi, io punirò quell'insolente.
      — Tu sei troppo abile artigliere per aspettare la luce del sole. Il mortaio è pronto.
      — Voglio che vedano chi darà fuoco al pezzo.
      — Forse lo sanno di già.
      — È vero, forse lo sospettano, ma non mi basta.


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Le Tigri di Mompracem
di Emilio Salgari
pagine 343

   





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