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      Non erano trascorsi dieci minuti che Juioko lo vide balzare in piedi cogli sguardi sfavillanti.
      — Dimmi — gli disse, volgendosi verso il dayako. — Credi che Yanez ci segua?
      — Ho questa convinzione, mio capitano. Il signor Yanez non ci abbandonerà nella sventura.
      — Anch'io lo spero — disse Sandokan. — Un altro uomo, al suo posto, avrebbe approfittato della mia sventura per fuggire colle immense ricchezze che tiene nel suo praho, ma lui non lo farà. Egli mi amava troppo per tradirmi.
      — E che cosa volete concludere, capitano?
      — Che noi fuggiremo.
      Il dayako lo guardò con stupore, domandandosi in cuor suo se la Tigre della Malesia aveva perduta la ragione.
      — Fuggiremo!... — esclamò. — E come? Non abbiamo nemmeno un'arma e per di più siamo incatenati.
      — Ho il mezzo per farci gettare in mare.
      — Non vi comprendo, capitano. Chi ci butterà in acqua?
      — Quando un uomo muore a bordo d'una nave, cosa se ne fa?
      — Lo si mette in un'amaca con una palla di cannone e lo si manda a tenere compagnia ai pesci.
      — E di noi faranno altrettanto — disse Sandokan.
      — Volete suicidarvi?
      — Sì, ma in modo da poter ritornare poi in vita.
      — Hum!... Ho i miei dubbi, Tigre della Malesia.
      — Ti dico che noi ci sveglieremo vivi e liberi sul libero mare.
      — Se voi lo dite, devo credervi.
      — Tutto dipende da Yanez.
      — Egli deve essere lontano.
      — Ma se segue la corvetta presto o tardi ci raccoglierà.
      — E poi?
      — Poi torneremo a Mompracem o a Labuan a liberare Marianna.
      — Io mi domando se sogno.
      — Dubiti di quanto ti ho detto?
      — Un poco, lo confesso, mio capitano.


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Le Tigri di Mompracem
di Emilio Salgari
pagine 343

   





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