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      Ma, in molte ed importanti occorrenze, avendovi io conosciuti e prodi e fedeli, accingermi ardisco alla più grande ed illustre impresa che mai si tentasse: tanto più, che mi è noto non aver voi altro utile nè altro danno che il mio. Il bramare e schifare le cose medesime, egli è d'amicizia pegno il più fermo. Io già la mia mente a ciascuno di voi separatamente dischiusi: di giorno in giorno vieppiù mi s'infiamma ora il coraggio, pensando qual vita ne avanzi, se in libertà non ci torniamo noi stessi. Dacchè la repubblica è preda di pochi, ad essi le genti, i Tetrarchi, i popoli, i Re, tributarj obbediscono: noi tutti, ardimentosi, dabbene, nobili, ignobili, noi tutti siam volgo senza autorità, senza credito; e sudditi viviamo a taluni, che se fosse in vigor la repubblica, di noi tremerebbero. E favori perciò, e potenza, ed onori, e ricchezze, stan presso loro, o presso cui voglion essi: ripulse, condanne, indigenza, e pericoli, lasciano a noi. Ora, fin quando, o fortissimi, cotal vitupero soffrirem noi? Anzi che una misera obbrobriosa vita, e fatta oramai dell'altrui superbia ludibrio, senza onore si perda; non è egli meglio da valorosi morire? Ma, gli uomini attesto e gli Dei, ch'ella sta in noi la vittoria: in noi, di giovinezza e di coraggio bollenti; non in costoro, fra le diuturne loro ricchezze invecchiati, inviliti; A noi basta il por mano; per se medesima l'opra si compie. Qual uomo di virile animo soffrirà, che ricchezze a costoro sopravanzino da fabbricar nei mari, ed i monti appianare, mentre il necessario perfino a noi manca?


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C. Crispo Sallustio tradotto da Vittorio Alfieri
di Gaius Sallustius Crispus
1807 pagine 161

   





Tetrarchi